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Note sulla poetica dei miei acquerelli

Colpito dalla bellezza dei quadri di Emil Nolde, intrapresi la tecnica dell’acquerello definita, credo da Van Gogh, “tecnica diabolica”. Fu una manifestazione da Fabio Sargentini, “Martiri e Santi”.

Intendevo raffigurare… l’anima delle piante, attraverso l’alone, ovvero una sorta di aura impalpabile e misteriosa dietro il fiore o il vegetale.

Quale tecnica più adatta dell’acquerello?

Iniziai a lavorare di notte. Ne facevo molti. Li lasciavo e poi li riprendevo in un incessante susseguirsi di colore su colore, segno su segno; alcuni addirittura presentavano evidenti tracce di materia. Tutti quelli acquerelli andavano per così dire a costituire, col passare dei mesi, una sorta di taccuino: l’album di un naturalista misto ad un diario intimo di un pittore. Nolde, infatti, li fece proprio quando il nazismo gli proibì di dipingere. Veniva componendosi sotto i miei occhi una sorta di atlante della natura; avevo la sensazione di perdermi nelle annotazioni di storia naturale, come accadde a Pisanello.

I fiori erano mappe stellari… era un tentativo, credo, di dedicarmi all’umile e al minimo: uno stelo, una corolla, una piccola siepe… Forse si trattava del desiderio di intromettermi in questo flusso continuo di nascere e morire… per fermare, fissare, l’attimo del trapasso.

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